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Perché chi si occupa di Innovazione in azienda dovrebbe diventare un Chief Happiness Officer

di Ilaria Santambrogio e Daniela Di Ciaccio

“Nei laboratori di tutto il mondo gli scienziati stanno progettando esseri viventi, indifferenti anche alle caratteristiche originali di un organismo. Meraviglie ancor più rimarchevoli possono essere realizzate con l’ingegneria genetica, ed è per questo che solleva un sacco di questioni di tipo etico, politico ed ideologico. Se l’aggiunta di un gene può trasformare un dongiovannesco maschio di arvicola in un marito leale e affettuoso, siamo forse lontani dal poter modificare geneticamente non solo le capacità individuali dei roditori (e degli esseri umani) ma anche le loro strutture sociali?”

Yuval Noah Harari – Sapiens. Da Animali a Dei

Che cos’è l’innovazione?

Quando parliamo d’innovazione è tendenza comune pensare che riguardi prettamente l’ambito tecnologico, che solo persone con una preparazione tecnica siano le più adatte a trattare questi argomenti e che gli aspetti legati al capitale umano o agli impatti sociali che ogni processo innovativo comporta non siano rilevanti.

Eppure siamo alle porte della Quarta Rivoluzione Industriale, per dirla con le parole di Klaus Schwab, fondatore e Chairman del World Economic Forum che si svolge ogni anno a Davos in Svizzera, e sappiamo che la nostra vita è destinata a cambiare velocemente come forse mai nella storia dell’umanità.

Sarà l’innovazione tecnologica, ma non solo, a comportare la vera e propria trasformazione del modo in cui viviamo, lavoriamo e ci relazioniamo con gli altri ed è proprio per questo che non si può prescindere dal considerare gli aspetti legati a come l’ambiente influenzerà le caratteristiche degli esseri viventi (epigenetica), e a come l’analisi su noi stessi e sui modelli sociali impattati da tali cambiamenti, sarà fondamentale per renderli una vera opportunità.

L’innovazione può essere vista come un complesso processo sociale le cui dinamiche non devono essere date per scontate.

Ciò che guida il cambiamento, i megatrend tecnologici, toccheranno la sfera fisica (veicoli autonomi, stampa 3D, robotica avanzata, nuovi materiali), la sfera digitale (Internet of Things, blockchain, piattaforme digitali conosciute come sharing economy) e la tanto discussa sfera biologica (sequenziamento del DNA, ingegneria genetica, bioprinting).

L’interazione tra le tecnologie impiegate in queste tre sfere potenzierà il lavoro e le conoscenze dell’uomo, ma ha anche dei rischi.

Già nel lontano 2000 un articolo di Bill-Joy, co-fondatore di Sun Microsystem, apparso sulla rivista Wired e intitolato “Perché il futuro non ha bisogno di noi”, provocò una forte sensazione a causa della stima secondo la quale nel giro di 50 anni i progressi nella genetica, nella robotica e nelle nanotecnologie avrebbero potuto significare la fine della specie umana. Gli scienziati citati nell’articolo stimavano dal 30 al 50% le probabilità che l’umanità non sarebbe sopravvissuta alla fine di questo secolo.

Possiamo prescindere dall’innovazione? Possiamo bloccare lo sviluppo tecnologico?

No, però possiamo influenzare questi processi e indirizzarli, riconquistando quel potenziale creativo, quella capacità di discernimento della realtà e di discriminazione tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, tra ciò che favorisce la nostra evoluzione e ciò che rischia di distruggerci come specie, quelle qualità cioè che ci caratterizzano come Homo Sapiens ma sembra siano scomparse o che pensiamo siano delegabili ai robot.

Nel 2016 il Future of Jobs report (ricerca condotta dal Web Economic Forum) rivelava che meno del 50% dei responsabili delle risorse umane considerava adeguata la strategia adottata dalle rispettive organizzazioni in merito alla forza lavoro per far fronte ai cambiamenti in atto.

I principali ostacoli erano dati da una scarsa conoscenza della portata di tali cambiamenti, della mancanza di una posizione comune in merito alla forza lavoro e ai processi innovativi e pressioni sul breve periodo per il raggiungimento di un profitto immediato.

Da questi dati emerge quanto sia necessario e cruciale il ruolo dei Leader nelle organizzazioni nel favorire un nuovo approccio mentale e comportamentale all’innovazione.

Occorrono leader in grado di leggere gli scenari e valutarne gli impatti sulla forza lavoro, capaci di navigare nell’incertezza e prendere decisioni etiche oltre che originali, sviluppare sistemi che rafforzino competenze sociali e creative.

Cambia, dunque, anche il ruolo dell’Innovation Manager, che non può più ridursi al mero operare e interagire nella sfera digitale ma deve farsi ponte tra la tecnologia e le persone, aiutandole a sviluppare abilità che permettano di apprendere continuamente e, nello stesso tempo, di mettere in discussione modelli concettuali e operativi non più funzionali.

I modelli dominanti e i processi decisionali contemporanei, che sono stati elaborati nel corso delle prime tre rivoluzioni industriali, non sono più adatti a soddisfare i bisogni attuali ma soprattutto quelli futuri. L’innovazione di cui tanto si parla deve riguardare prima di tutto il pensiero e poi l’intero sistema organizzativo, e non essere riferita solo a piccoli e sporadici interventi riguardanti alcuni aspetti.

Il percorso di certificazione in CHO (Chief Happiness Officer) è una possibile risposta per arricchire chi si occupa di innovazione di un approccio inclusivo per gestire le tante criticità, mostrando modelli flessibili e collaborativi che permettono l’integrazione di vari ecosistemi, esprimendo  valori e principi etici che devono essere al centro dei nuovi modelli che verranno elaborati.

Infatti, come afferma Mo Gawdat nel suo video One Billion Happy:

“Qualsiasi cosa tu abbia visto in un vecchio film di fantascienza oggi sta succedendo nella tua vita. Entro il 2029 i robot con intelligenza artificiale sorpasseranno l’intelligenza umana e saranno un miliardo di volte più intelligenti di noi. Come faremo a gestirii? Non possiamo pensare di “contenerli”. Il miglior modo per crescere bambini meravigliosi è essere genitori meravigliosi. I robot imparano guardando noi esseri umani, formando schemi per i nostri comportamenti e replicando i nostri schemi. E cosa stanno osservando? Ego, violenza, avidità, conflitti, separazione.. L’unico modo affinché queste macchine siano non solo sempre più intelligenti ma che dimostrino valori e saggezza che non vada a nostro discapito è che noi, esseri umani, iniziamo a comportarci in modo etico e a rimettere al centro del nostro agire i valori che vogliamo che le macchine replichino.”

Tutto dipende quindi da noi, da come sceglieremo di utilizzare le nostre capacità per influenzare il nostro percorso, ricordandoci di rimettere al centro delle innovazioni lo scopo per cui sono concepite e l’essere umano che ne è il beneficiario.