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Cosa rende (davvero) felici le persone al lavoro

Dall’ultima survey “Good days at work” condotta da Woohoo Inc. su una popolazione di 2.500 persone in tutto il mondo è emerso che 1 lavoratore su 3 è felice al lavoro quasi tutti i giorni. 1 su 5 dichiara invece di non avere “mai o molto raramente” giornate felici al lavoro.

Se da una parte questi dati sono incoraggianti, ci troviamo ancora di fronte ad un 22% di persone che in un mese sperimenta solo 1 o massimo 3 buone giornate al lavoro, ossia l’80-90% della vita lavorativa di queste persone è piatta o negativa. E questa percentuale è in crescita rispetto al 19% della survey del 2015.

Sono dati in linea con le indagini Gallup sulla soddisfazione al lavoro, che da qualche anno evidenziano come in tutto il Mondo e anche in Italia, la percentuale di chi si dichiara davvero “coinvolto” nel proprio lavoro è pari solo al 13% (a fronte di un 63% di non motivati e a un 24% di lavoratori che addirittura “remano contro”).

Per molti di noi, quindi, recarsi ogni giorno al lavoro è faticoso e deprimente!

Scadenze, pressione quotidiana sugli obiettivi, capi insensibili, colleghi odiosi, carichi eccessivi e quella fastidiosa sensazione che poi, in definitiva, il nostro lavoro non serva a nulla.

Eppure invertire la rotta e costruire luoghi di lavoro in cui le persone sono felici è possibile e non utopistico, ma a patto di sfatare qualche mito su cosa rende davvero felici le persone al lavoro ed evitare di cadere nella trappola di percepiti derivanti dal senso comune e ben rappresentati da alcune “obiezioni realistiche” che ci vengono sollevate quando raccontiamo che si può parlare di felicità al lavoro, per ogni tipo di lavoro.

Felicità al lavoro, miti da sfatare…

Le più ricorrenti sono: “Certo che si può essere felici al lavoro, dammi 100.000€ l’anno e vedrai se non sono felice”, oppure “Felicità al lavoro? Sì, se avessi 3 mesi di ferie pagate l’anno magari..”, o ancora “Beh, quando mi daranno quel ruolo che merito o otterrò quella promozione allora sì che sarò felice”

Forse vi siete riconosciuti in qualcuna di queste affermazioni, forse siete professionisti aziendali che si occupano di motivare le persone e vi siete imbattuti in risposte come queste anche voi. Beh è arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza su questi temi e provare a capire, studi e applicazioni alla mano, cosa c’è davvero all’origine della felicità al lavoro.

Ciò che è emerso da numerose ricerche in merito, e qualcuno di noi ha sicuramente provato nel corso della propria esperienza lavorativa, è che capita spesso di riuscire ad ottenere ciò che desideravamo tanto (una promozione, maggior guadagno, più tempo libero) e non provare quella sensazione di felicità e piena realizzazione che avevamo immaginato. O magari provarla solo per un po’, e poi tornare ad un simile livello di scontentezza, come se mancasse qualcosa.

Ebbene è naturale, perché molti di noi finora hanno seguito 3 “miti” nel percorso di ricerca della felicità attraverso il lavoro, che la scienza ha sfatato.

Mito #1: più soldi avrò più sarò felice

“La nostra percezione sui soldi e su quanto guadagniamo dipende da ciò che fanno gli altri”, afferma il ricercatore psicologo Dr. Ronald Riggio. Questo significa che anche se hai un salario molto elevato – pensate ad esempio ai calciatori – se scopri che una persona simile a te, ad esempio un altro calciatore, guadagna di più, questo può determinare in automatico insoddisfazione e infelicità, anche se già guadagni moltissimo.

Le ricerche su felicità e reddito hanno dimostrato che effettivamente la soddisfazione aumenta in relazione all’aumento dei guadagni, ma fino ad un limite di circa 65.000 € all’anno. Superata questa soglia, l’equazione “più soldi = più felicità” non funziona più. Il motivo di questa correlazione tra felicità e reddito nell’ambito di questa soglia dipende dal fatto che, con questa disponibilità economica, siamo effettivamente in grado di coprire e soddisfare tutti i bisogni e le spese fondamentali, quindi evitare alcune delle principali e più pesanti fonti di ansia e stress legate alla vita quotidiana (pagare il mutuo, le bollette, le tasse scolastiche etc..).

In altre parole, assicurato il soddisfacimento dei bisogni di sicurezza e sopravvivenza per i quali i soldi oggi sono il principale mezzo, la nostra felicità dipende da qualcos’altro che “i soldi non possono comprare”.

Mito #2: più ferie faccio più sono felice

Un maggior numero di giorni lontano dall’ufficio aiuta solo se detestiamo il lavoro che facciamo.  “Se invece ami davvero il tuo lavoro, poter usufruire di più ferie non ti renderà più felice”, afferma Riggio. Comunque anche in questo caso, la soddisfazione collegata alle “vacanze” è relativa. Gli esseri umani si abituano a tutto, anche alle ferie, quindi il livello generale di felicità non aumenta, anzi. Quando il lavoro che facciamo non ci piace, tornarci dopo numerosi giorni di vacanza potrebbe addirittura renderci ancora più infelici.

Mito #3: cambiare lavoro o fare carriera mi renderà più felice

Secondo diverse ricerche, cambiare semplicemente lavoro non migliora il livello generale di felicità. Alcuni psicologi hanno monitorato dei top managers per cinque anni, misurando la loro soddisfazione prima e dopo ogni cambiamento lavorativo. Sorprendentemente, nonostante ci fossero stati picchi elevati di soddisfazione nel momento di passaggio ad un nuovo lavoro, nel giro di un anno il livello è crollato drammaticamente. 

In altri termini, i managers avevano sperimentato i tipici “postumi di una sbronza di felicità”, mentre i colleghi che non avevano avuto cambiamenti lavorativi registrarono piccole variazioni nel loro livello generale di soddisfazione.

Quindi cosa funziona veramente?

Se più soldi, più vacanze o un nuovo lavoro non bastano a renderci felici – e il solo fatto di scrivere o leggere queste cose probabilmente sta aumentando la nostra infelicità – dobbiamo rassegnarci all’insoddisfazione?

La risposta è “no”.

 Secondo Sonja Lyubomirsky, psicologa e autrice del libro “The How of Happiness”, la chiave della soddisfazione è da ricercare nel perseguimento di specifici obiettivi collegati al proprio lavoro, piuttosto che obiettivi generici come “guadagnare di più”. 

E’ l’impegno quotidiano che sfida le nostre competenze per realizzare qualcosa di possibile, che garantisce il maggior livello di soddisfazione e felicità, non l’obiettivo stesso.

Perché? Beh, impegnarsi nella realizzazione di qualcosa dà una struttura e un senso alle nostre attività quotidiane. “Si creano in questo modo responsabilità, scadenze, orari, così come opportunità per migliorare le nostre capacità e interagire con gli altri”, scrive la Lyubomirsky. Avere obiettivi da raggiungere “ci aiuta a percepire sentimenti di scopo, efficacia e controllo del nostro tempo. Sono queste le cose che rendono davvero felici le persone al lavoro”.

Inoltre, secondo Michelle Gielan, fondatrice dell’Istituto di Ricerca Positiva Applicata e autrice di “Broadcasting Happiness”“avere degli amici sul posto di lavoro è il più potente predittore della soddisfazione di lungo termine. E non stiamo parlando di dozzine di amici o colleghi molto stretti; per sperimentare questi benefici basta una manciata di relazioni significative”. 

Dunque, rafforzare un clima di lavoro amichevole e sereno è fondamentaleper migliorare umore e stato d’animo.

Infine, i lavoratori felici sono quelli che “sentono” che il loro lavoro ha un senso“E ogni lavoro può essere significativo se il tuo cervello dice che lo è”, afferma Shawn Achor, psicologo e autore di “The Happiness Advantage”“Possiamo infondere senso a qualsiasi attività lavorativa se ci focalizziamo sulla costruzione di relazioni, sullo sviluppo delle capacità o sul supporto che ne riceviamo per le nostre famiglie”.  

Quindi proviamo ad abbandonare i falsi miti e a concentrarci su ciò che può davvero migliorare ogni giorno la qualità del nostro lavoro e renderci felici. Avere sempre più soldi, lavorare di meno e fare carriera sono strategie che funzionano, ma non durano a lungo. 

La chiave per la felicità sostenibile è da ricercare invece in obiettivi stimolanti, relazioni positive con i nostri colleghi e un senso più ampio a cui ricondurre ogni attività che svolgiamo.