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Crescere insieme

di Fabio Boni, Founder e AD – Assiboni, Agenti di assicurazione indipendenti, distribuzione assicurativa consulenziale.

Chi è Fabio Boni?

Guardare tutti nella stessa direzione, allenarsi insieme, per competere ad altro livello come singoli, facendo dell’unione di intenti un vantaggio competitivo, è da sempre il mio credo.

Sono CHO da dicembre 2021. Ho 2 figli e sono felicemente sposato. Mountain biker appassionato,  sono stato allenatore di nuoto agonistico per 12 anni, con atleti di livello nazionale e dopo una lunga carriera sportiva a basso livello ma con grande intensità fra calcio, nuoto, basket e pallanuoto. Credo nell’importanza dei team felici e consapevoli, al di là delle individualità.

Com’è cambiata la visione del lavoro e delle organizzazioni grazie alla certificazione in CHO?

La mia visione non è cambiata molto dopo la certificazione perché grazie alle esperienze di vita, soprattutto nello sport, ho sempre allenato uno dei pilastri della Scienza della Felicità: +noi e – io.

Da quando sono entrato nel mondo del lavoro ho capito immediatamente che il NOI è un elemento cruciale per portare risultati, oltre che indispensabile per fare star bene le persone. 

Durante la certificazione ho dato consistenza e solidità scientifica a convinzioni e intuizioni che mi appartengono da sempre.

L’attenzione alla chimica dell’altro, inoltre, è un sentimento che si è irrobustito e ha preso dimensione rispetto al proposito aziendale.

Terminata la certificazione, qual è stato il focus del tuo primo miglio?

Il prototipo era già nei miei pensieri… Sapevo che per migliorare, col proposito di star bene, e far star bene le persone che lavorano in azienda, era fondamentale che i momenti di vita al lavoro fossero intenzionalmente gioiosi e positivi.

La certificazione mi ha aiutato a mettere a terra una progettualità strutturale, voluta e condivisa, con solide basi scientifiche. 

Com’è nato il prototipo?


Gli ospiti esterni venivano in azienda e fin dal primo incontro sembravano colpiti dal clima sereno, dalle persone ingaggiate, in un settore dove tipicamente le persone sono dimesse, poco entusiaste e piuttosto formali. Mi dicevo “Noi siamo fortunati, perché ci sono molti ragazzi giovani”, poi grazie al percorso CHO ho capito che in qualche modo il mio stile di leadership, da allenatore che motiva, condivide, basato sull’ascolto e sullo scambio, aveva contaminato l’organizzazione in modo naturale, quasi biologico.

Con il crescere dell’organizzazione (oggi siamo 40 persone) questa positività spontanea e osmotica iniziava a disperdersi, iniziavo a sentire il bisogno di architetture ragionate e strutturalmente condivise.

Volevo far evolvere l’organizzazione, per farla diventare da spontaneamente positiva ad intenzionalmente tale, attraverso una scelta consapevole e collettiva.

Come si è articolato il prototipo?

Il prototipo ha come scopo primario l’individuazione consapevole e collettiva di processi da trasformare. Riflettere, apprendere e cambiare per rendere l’organizzazione un ecosistema antifragile.
Per fare questo abbiamo individuato 6 elementi chiave: efficacia, efficienza, i 4 pilastri della Scienza della Felicità e un riferimento portante, ovvero il linguaggio comune, cruciale per l’antifragilità.

Il percorso ideato in collaborazione con Saverio Cuoghi e Innovazione 202 dura 90 giorni ed è suddiviso in 4 moduli.

Dopo un primo modulo individuale che esplora i fondamenti della Scienza della Felicità, le persone dell’organizzazione sono state suddivise in 8 gruppi di lavoro. Fattore chiave del prototipo il buddy system che sostiene, ispira, consolida, stimola e rassicura, generando chimica positiva.

Mi sono messo in gioco in prima persona e come “sponsor” del progetto ho offerto il mio tempo per momenti di confronto e raccordo, che le persone potevano utilizzare su base volontaria.

Ho sottolineato spesso  l’importanza di far parte di un ecosistema e di concorrere al proposito comune.

La convergenza di intenzioni insieme alla consapevolezza che il contributo di ciascuno favorisce il risultato di tutti sono stati due capisaldi fondamentali per costruire un perché condiviso e universalmente riconoscibile.

Quali sono state le principali difficoltà o gli ostacoli che hai incontrato?

Interrompere la quotidianità nonostante il mandato fosse dell’AD è stata la sfida più grande. Le persone erano restie a partire per attaccamento al lavoro e senso del dovere, che sono sentimenti positivi ma comunque resistenze…
La nostra è una realtà, o meglio era una realtà molto orientata al fare più che all’essere, quindi alla proposta di un progetto di cambiamento che coinvolgeva tutta la popolazione aziendale, ha fatto emergere la naturale resistenza al cambiamento.

Molti erano scettici lontano dall’area di comfort e per di più la collettività del progetto ha amplificato il senso di inadeguatezza di molti. Certe sfide sono più usuali per le prime linee e per il leadership team.

Non c’era abitudine né alla partecipazione profonda né alla possibilità di essere ascoltati. Molti non avevano mai pensato neanche di potersi esporre…

In ultimo, da queste parti, c’è la tendenza al sospetto, al retropensiero, il che naturalmente non ha facilitato. Due persone hanno deciso di mollare per “troppo lavoro”. Abbiamo provato ad agganciarle diversamente ma senza successo. Nel rispetto dei confini di ognuno abbiamo deciso di non insistere. Come dice Simone Rosati, il paradiso forzato può diventare inferno.

Quali sono stati i momenti o gli elementi di svolta, che hanno dato slancio al progetto?

  • La coerenza nel messaggio quotidiano da parte della proprietà e degli apicali.  AD, CDA e prima linea sono stati sempre allineati e il più possibile aderenti al proposito del progetto. Chiaramente ci sono stati attimi di lieve scollamento ma più della resa, conta l’intento e la volontà. Quando allenavo ripetevo sempre “Cerchiamo miglioramento continuo non il risultato assoluto!”. Ed è il proposito aziendale da 15 anni. Se ogni anno, ognuno di noi è più bravo e aggiungiamo qualcuno, il valore dell’azienda cresce, esattamente come accade nello sport giovanile…
  • Razionalizzazione chiara e condivisa dei pilastri della Scienza della Felicità
  • Capire profondamente e bene cosa significa sequestro emotivo
  • Esplorare la diversità come valore reale e come opportunità di tutti e non come “cattiveria”
  • Modelli di riferimento e linguaggi comuni

Quali sono gli effetti positivi, le lezioni apprese,  i primi risultati che hai già rilevato? 

  • Il potere benefico di un linguaggio comune, anche in conversazioni scomode o decisioni difficili
  • La potenza di una traiettoria consapevolmente condivisa per raggiungere i risultati
  • L’aiuto dell’altro e nell’altro come asso nella manica quotidiano
  • La certezza assoluta e collettiva che basta chiedere per trovare accoglienza
  • Il fascino della gentilezza (qualcuno si davvero è trasformato!)

Cosa ti aspetti che cambi a livello di comportamenti?

Che qualcuno si è trasformato l’ho detto…
Più di un cliente storico ha condiviso commenti molto positivi sulle nostre persone, descrivendoli come “motivati, attenti, collaborativi”. Parole che mi riempiono di orgoglio perché dimostrano che la produttività è favorita da persone più felici.

I processi sapientemente rivisti in ottica Scienza della felicità, sono stati un aspetto determinante per la resa del progetto.

Significativo che in questi mesi la crescita sia stata superiore ai trend precedenti e superiore alle aspettative!

Per il futuro direi che la sfida più grande è mantenere vivo l’X+1 raggiunto. 4 gruppi di persone sono già al lavoro su procedure cruciali e il mio contributo di imprenditore in questo senso è fondamentale.