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#Stopbadmanager. Perché le aziende dovrebbero liberarsi dei leader tossici.

Conosciamo tutti il famoso adagio “le persone lasciano i propri capi, non le organizzazioni”. La realtà non si discosta tanto dal senso comune: l’inefficacia della leadership è di fatto la terza causa per cui le persone mediamente lasciano le aziende e la relazione che più influenza al lavoro la felicità e il benessere di una persona o di un gruppo è quella con il proprio “capo”. 

Soprattutto, conosciamo oggi molto bene i costi per le persone – in termini di stress e peggioramento della salute – e per le organizzazioni – in termini di engagement, scarsa produttività e elevato turnover – di una cattiva leadership. 

Secondo il Rapporto europeo “People Unboxed” elaborato da ADP, il 37% dei dipendenti europei si lamenta del fatto che “il capo” non li conosca abbastanza bene per poter comprendere veramente il proprio potenziale. Il 18% afferma di sentirsi semplicemente un numero all’interno della propria organizzazione.

Una ricerca inglese ha rilevato inoltre che oltre il 75% degli intervistati afferma che i “capi cattivi” sono la parte peggiore del loro lavoro. Il 64% degli intervistati dichiara che preferirebbe cambiare capo piuttosto che avere un aumento di stipendio.

Uno studio del 2005 condotto dall’Università del Michigan sui lavoratori del settore sanitario ha rilevato che i manager entusiasti influenzavano positivamente le emozioni dei propri collaboratori; i collaboratori di manager infelici sperimentavano invece minor felicità, entusiasmo, ottimismo e un leggero aumento di irritabilità, ansia e rabbia.

Secondo l’indagine Gallup State of the American Manager. Analytics and Advice for Leaders, solo il 35% dei manager americani è motivato, il 51% si dichiara non motivato e il 14% è attivamente demotivato. 

Il gruppo dei manager “non motivati” costa agli Stati Uniti da 77 a 96 miliardi di dollari ogni anno attraverso l’impatto che hanno su chi coordinano. Quelli demotivati fanno salire i costi a cifre che variano tra i 319 e i 398 miliardi di dollari l’anno

Nonostante tutti sappiamo chi sono i #badmanager delle nostre organizzazioni, continuiamo a promuoverli, premiarli e lasciare che facciano danni alle persone, alla reputazione dell’azienda e al business.

Nel 2004 l’Harvard Business Review pubblicò le venti idee per l’economia del futuro: tra queste figurava la proposta di Robert I. Sutton, professore a Stanford, che invitava le aziende a liberarsi “da bastardi, arroganti, tiranni, maleducati e prepotenti – in una parola degli “stronzi”- di qualsiasi età, sesso o livello”, alla luce delle numerose evidenze empiriche che dimostravano che il comportamento aggressivo, umiliante e totalmente indifferente alla componente umana di quelli che noi definiamo #badmanager, causa l’aumento del turnover e l’assenteismo, sgretola l’affiatamento dei gruppi, riduce l’engagement e crea danni enormi ai risultati di business.

Sono passati più di quindici anni da allora e nonostante tutti gli articoli rintracciabili sull’Harvard Business Review, le decine di migliaia di libri sulla leadership disponibili, i TED talks e i feeds di Twitter, continuiamo a vedere aziende incastrate in gerarchie disfunzionali, piene di simboli (e pratiche) di status e privilegi arcaici, che promuovono e premiano “capi” solo secondo criteri di competenza tecnica, non prendendo minimamente in considerazione il feedback dei collaboratori e arrivando così a perdere – secondo una ricerca recente – fino a 84 miliardi di sterline l’anno per cattiva gestione, solo nel Regno Unito.

Se la cattiva gestione è una piaga moderna, la capacità di coltivare e promuovere leader positivi è ancora più critica nel contesto attuale delle organizzazioni che si trovano a dover affrontare una sempre più intensa combinazione di questioni economiche, sociali, tecnologiche e politiche. 

La verità è che come rispondere a tutto questo dovrebbe essere abbastanza chiaro, le cure, infatti, non mancano. Perché in fondo si tratta di prendere tutta la conoscenza e le esperienze che abbiamo accumulato e decidere di cambiare.

Come stanno facendo le organizzazioni positive, che sanno che non possono definirsi tali senza leader positivi e che hanno iniziato ad eliminare capi e gerarchie, a praticare gentilezza e umiltà, ad usare senza timori né imbarazzi le parole amicizia, amore e compassione per riferirsi alle relazioni tra colleghi.

Le Org+ hanno il coraggio di intercettare e smascherare sin dalla fase delle assunzioni i #badmanager, li richiamano durante le valutazioni della performance e non li promuovono a posizioni di leadership. 

In alcune organizzazioni ancora più rigorose, i #badmanager non hanno neanche l’opportunità di nascondersi e quando si manifestano vengono semplicemente licenziati, perché i leader delle Org+ sono coerenti e dimostrano con i comportamenti ciò in cui credono e che dichiarano. 

E molti di noi abituati a convivere con capi maleducati e a sopportare manager insensibili ed egopatici si stupirebbero forse ad entrare in Designit, un’azienda danese di design, che ha stampato sulle pareti delle sue sale riunioni i propri valori fondamentali, tra i quali spicca in grassetto: “No Assholes” (niente stronzi), a cui segue un breve testo che dichiara: “Designit è una casa per persone con grandi sorrisi e piccoli ego. Ci prendiamo sempre cura gli uni degli altri e ci accettiamo profondamente per quello che siamo. Sii gentile, sii umile, sii amico, sii te stesso. Non abbiamo un codice per l’abbigliamento, ma abbiamo una rigorosa politica anti-stronzi”. 

Il CHO ha il difficile ma cruciale compito di accompagnare l’organizzazione nel processo di adozione e concreta attuazione di uno stile di leadership positiva, per il bene delle persone e dei risultati di business. E in fondo, per diventare un leader positivo non ci sono formule magiche da svelare:

Se non sei in grado di immaginare come la tua leadership possa avere un’influenza positiva sul mondo, allora non dovresti fare il leader. Se un’organizzazione non riesce a trovare un modo per rendere concreto questo, allora non dovrebbe essere nel business”

A. Kjerulf

Non c’è altro da sapere, di cui scrivere o di cui “parlare”. Ci vuole coraggio, bisogna agire.

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Riferimenti bibliografici

Il capo ha sempre ragione? La leadership da sola non basta più

Di Ciaccio D., Gennari V. (2018), La Scienza delle Organizzazioni Positive. Far fiorire le persone e ottenere risultati che superano le aspettative, Franco Angeli.

Kjerulf A. (2017), Leading With Happiness: How the Best Leaders Put Happiness First to Create Phenomenal Business Results and a Better World, Woohoo Press

Sheridan R (2018), Chief Joy Officer. How great leaders elevate human energy and eliminate fear, Portfolio  

Sutton R.I. (2007), Il metodo antistronzi. Come creare un ambiente di lavoro più civile e produttivo o sopravvivere se il tuo non lo è, Elliot edizioni srl